domenica 24 febbraio 2013

S. MEYER - Twilight

Ecco. Ho finito di leggerlo. Che posso dire?
Che ne vado orgoglioso. Un bel po' di gente, quando veniva a sapere che stavo affrontando questo libro, mi guardava sgranando gli occhi. Un'amica ha fatto anche tutta la scenetta "va-tutto-bene-chiamo-il-dottore-adesso-ti-curiamo".
Ma sono orgoglioso di averlo letto, perché so che è una lettura che va tra i miei studenti, e trovo che sia poco intelligente andare in giro a dire "gli adolescenti d'oggi leggono sono delle boiate pazzesche" senza aver nemmeno fatto lo sforzo di guadare quei libri. Se poi si capisce che boiate non sono, tanto meglio: in fin dei conti, la saga di Harry Potter piace a un sacco di ragazzini, e a me non è sembrata fatta male (anche se i primi tre libri sono un po' troppo ripetitivi). Inoltre, leggendo ciò che gli studenti prediligono si può imparare qualcosa a proposito di come pensano, agiscono, si rapportano tra loro e con il mondo - il che non è mai male, nel mio lavoro. Facile andare in giro a dire "gli adolescenti d'oggi sono tutti maleducati e ignoranti", ma se non conosci i loro codici, la comunicazione ti rimarrà sempre preclusa. Infine, mi son detto, si tratta pur sempre di vampiri: alla peggio sarà una collezione di orrorifico trito e ritrito, e la noia l'avrà vinta su tutto.
In effetti mi sbagliavo, anche se non di molto: in Twilight non è stata la noia, ad atterrarmi. Sono state melensaggine e pessima scrittura.
Periodi come: "Era incredibile come ogni singola cellula del mio corpo sentisse la vicinanza di Edward e desiderasse vederlo. Ciò rendeva tutto molto difficile." sono lo standard del livello linguistico, stilistico e contenutistico del libro. Tutto insieme.
Periodi di questo genere sono legione, e si susseguono con proterva caparbietà, fino al voltastomaco. Il livello sintattico è semplificato al massimo: quasi tutto il discorso è strutturato per paratassi, per lo più periodi di due o tre proposizioni principali coordinate, isolati gli uni dagli altri con punto fermo. L'ipotassi, quando c'è, è limitata al primo grado di subordinazione, e sempre in forma assolutamente lineare: frase principale, frase dipendente - se appena si può, implicita: ché un bel gerundio risolve tutti i problemi di consecutio temporum.
Stilisticamente, di conseguenza, c'è poco da portare a casa. Come testimonia l'iperbole citata poco sopra (e quasi mi vergogno di chiamarla così), non sono solo le metafore a rimanere entro la rassicurante banalità della lingua quotidiana: qualsiasi tentativo di innalzamento o di abbassamento di registro, qualsiasi guizzo retorico, non va al di là di una normalità da supermarket. Senza alcuna pietà.
E il contenuto, santa pazienza... ecco, il contenuto non è all'altezza del linguaggio e dello stile: è ben al di sotto.
Dunque la protagonista, che cerca di vendersi come una banalissima adolescente, una sfigata di studentessa liceale, si innamora del più figo della scuola, che in mensa se ne sta sempre appartato con i suoi altrettanto splendidi e misteriosi fratelli, tutti descritti come gli stereotipi delle copertine di Sports Illustrated. Il giovanotto, inspiegabilmente (questo l'ho capito chiaramente, perché è ripetuto circa un milione di volte nelle poco più di 400 pagine dell'edizione italiana), ricambia. Pian piano lei si troverà coinvolta in strani fenomeni (lui la salva da un furgone che la sta per investire; gli indiani della vicina riserva la mettono in guardia con antiche leggende; lei va da sola nel bosco e si spaventa un po' - sic!. Insomma, niente di terrificante, mica che qualcuno pensi che sia un horror), e parlandone con lui, che pure continua a ripeterle che "è pericoloso", verrà a scoprire che si tratta di un vampiro che ha rinunciato a nutrirsi di sangue umano, e si accontenta di andare a caccia di grizzly con il fratello, ancora più grosso e forte di lui. Ma in realtà l'unico pericolo che la signorina Swan corre per davvero, in tutto il romanzo, è quello dell'infarto diabetico, vista la copiosa colata di melassa che le si rovescia nelle vene ogni volta che anche soltanto rivolge il pensiero al suo adorato Edward, per non parlare di quando gli si trova accanto. Roba da farmi svenire dall'odore di caramello zuccherato. Ad un certo punto (a mio avviso troppo tardi per essere 412 pagine), come era ovvio arriva un altro vampiro, un cacciatore di uomini, che cerca di mangiarsela, anche per una sua vendetta personale che, a dirla tutta, non è nemmeno spiegata gran che bene. Ma proprio appena il "villain" si trova la sua preda tra le mani, praticamente un topino in trappola, invece di colpire ed eliminarla definitivamente, come si addice alla perfetta macchina predatoria che è, si dilunga in spiegazioni che rivelano tutti i suoi piani, permettendo così l'intervento salvifico del prode Edward, che incasserà la gratitudine della profumata Isabella portandola... al ballo di fine anno della scuola!
Ma siamo pazzi? Questi qui sono uno più scemo dell'altro.
Ma porcomondo, signora Meyer, ma ha presente cos'è il Dracula di Bram Stoker?
Io mi ci ero messo con impegno, e credo che, alla fine, mettendo tra uno e l'altro della distanza e dosi massicce di letteratura ben riuscita, sarò in grado di portare fino in fondo la mia idea di leggermi questo capolavoro dell'horror per adolescenti. Perché, alla fine, spero che qualcosa migliori: altrimenti, significherebbe che 'sti poveri ragazzi non hanno davvero un minimo di speranza.
Mi ricorda: Carletto (il Principe dei mostri); I Fantastici 4 (quelli scemi del film, mica i fumetti, che avevano ben altro spessore); Meat Loaf (giuro: dev'essere per via di un video girato in mezzo alla foresta, ma non so più che canzone fosse, ormai son passati più di 20 anni); Blade I, II e pure III (una delle mie visioni estive preferite: un Wesley Snipes in gran spolvero per un fumettone Made in Marvel che secondo me la Meyer ha saccheggiato a man salva); gli Samshing Pumpinks (il look, mica la musica, ai tempi di Machina); Guido Gozzano (per contrasto, s'intende...); Ann Radcliffe, I misteri di Udolpho.

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